75190 di Auschwitz
“Entrammo nella prima baracca, dove ci fu tolto tutto! Fummo spogliate, nude. Come si può sentire una donna, improvvisamente nuda, dinanzi a soldati che passano, guardano sghignazzano con l’estremo disprezzo della razza padrona.
Uomini armati, vestiti di tutto punto e quelle ragazze nude che cercavano inutilmente di coprirsi con pudore: era quella la maggiore persecuzione. E poi sempre davanti ai soldati venimmo rapate a zero, ci vennero rasati il pube e le ascelle, e poi, con estremo sfregio e spregio, ci fu tatuato il numero sul braccio sinistro.
Lo porto con grande onore il mio numero, il 75190 di Auschwitz. In questo i nazisti sono riusciti perfettamente. Chi è tornato per raccontare, è rimasto essenzialmente il numero di Auschwitz. Volevano sostituire con un numero l’identità di milioni di uomini e donne e una volta morti, non sarebbero state più persone, ma numeri: il niente a raccontare di loro. E chi è tornato è rimasto essenzialmente quel numero. Io lo ripeto sempre ai miei figli: sulla mia tomba, se sarò una delle poche persone della mia famiglia ad avere una tomba, voglio che ci sia scritto prima di tutto il mio numero. Con una piccola operazione di chirurgia plastica potrei toglierlo, in qualunque momento. Ma credo che quel numero sia un monumento alla vergogna di chi l’ha impresso sulla pelle, e credo che sia anche un motivo di onore per chi, avendo perso tutto nella Shoah, non ha perso la sua mente, non ha perso la sua anima, non ha perso la memoria di quella serie interminabile di numeri.
In quel momento ero una disgraziata ragazzina di 13 anni a cui veniva portato via tutto, anche una fotografia, un libro, un fazzoletto, le restava il suo povero corpo, rasato, rapato, e col numero tatuato sul braccio sinistro.”
Liliana Segre
Senatrice a Vita.
Grazie Presidente Mattarella